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Visualizzazione dei post da 2017

INDICAZIONI - 2

La vita è ibrida. Produce un numero potenzialmente infinito di varianti. Tenta, è tentazione. PS (è che ora come ora scrivo fiumi di racconti, solo racconti, nessun post)

IL GENIO NELLA BOTTIGLIA

Le emanazioni di un senso profondo, fine, avevano assunto nei millenni nomi e vesti rituali. Gli antropologi, acerbi, ne avevano parlato spesso. Quelle emanazioni, cristallizzate nei logos, nelle culture, si volevano più o meno innate, a seconda. Sedicenti grandi maestri, avevano offerto e offrivano maschere parziali d’ombra, benevole o incuranti, anche qui… a seconda. Le emanazioni, comunque, erano grandi case rassicuranti. La mia, per lungo tempo, fu la vendetta. Virtualità o atto che ristabilisce un equilibrio. L’equilibrio stesso fu casa d’altri. E l’onestà, il paradiso, il giudizio, la legge degli uomini o di Dio, furono casa d’altri ancora. Tutte galere. Quando il volo assume un nome, smetti di sentire la voce del mondo in favore di quel solo nome. L’atto, l’evento, si esorcizza, si ritualizza. Diventa rappresentazione e obbligo. O percorso obbligato. Ed eccoti: sei il genio prigioniero della bottiglia.

(TU) - INTRO

Fuori dall’ordine economico consueto, risultavamo impensabili, e dunque imprendibili. Eravamo lì, in carne ed ossa, ma non ci vedevano. Quelli guardavano invece tele tessute dai loro discorsi, immagini rese evidenti da complessi e minuziosi sistemi di illuminazione. Noi scomparivamo nello sfondo. Colpimmo, dall’alto calando, come i jaguncos del Sertao colpivano attraversando deserti che si davano per non attraversabili. Ci proteggeva il pensiero degli altri, i loro impossibili . Per rubare, rubavamo. Il valore di ciò che prendevamo, però, quelli, non sapevano calcolarlo. E compravamo, anche. Alle volte. Era uno scudo. Esseri invisibili, eppure solidi, planando , sentivamo le correnti che ci spingevano. L’Uno ci legava ai derubati. Si tendeva ad un pareggio di bilancio, avrebbe detto il ragioniere. Il libro mastro era invisibile quanto noi. Se ti sforzavi per renderlo intelligibile, ti ritrovavi immerso nei “come”, lontano dai “perché”, smarrito. E allora parlavi, facevi discor

TUTTO INTORNO

Tutto intorno, l’universo, girava immenso e vertiginoso. Un abisso. Lo dimenticavo pettinando fronde di olivastro, con le mani. Le piccole olive cadevano nello zaino. Da quell’alto su cui stavo riuscivo a ridere con l’albero. La risata di un grande albero è l’oscillare del ciclope. Nella sua mano gigantesca senti scuotersi il ventre della terra e con esso il tuo. È un solletico profondo. Rinfrancante. Mio figlio, con un cappellino calato sugli occhi, in braccio a mia moglie, sembrava ancora piu’ piccolo e indifeso. Mi coglieva una tenerezza, allo stato primordiale. Lo guardavo e intorno l’universo si faceva ancora più minaccioso. Era lo specchio della mia inadeguatezza. Ma a guardare dietro quello specchio, c’era solo il brivido della vita, la nuda vita, quando scorre e sfugge. Volare non conosce futuro, mente chi ne dice sia un verbo soggetto a coniugazioni distese sul tempo. Dare nomi alle stelle e ai pianeti su nel cielo, era un modo di cadere nell’inganno.

VERITA' - 1

L’Inferno, ragionavo, doveva essere qualcosa di molto simile a questo: un gran cicaleccio, un gran frastuono. Per produrlo, bastava dare ad ogni singola particella una capacità sonora, la possibilità di generare un minuscolo rumore. Nell’insieme, irraggiungibile per la sintesi, indomabile, doveva apparire come un agghiacciante confusione, una immensità insensata dove ogni voce si perdeva. Ma, al contrario, doveva anche essere una volontà percettiva, una intenzione nell’ascoltatore, ossia il desiderio altrettanto insensato di porre un ordine al caos. Ecco: doveva essere, l’Inferno, l’ottusa caparbietà, la pretesa, di trovare un ordine alla moltitudine. Infatti, il suono, non bastava produrlo. Serviva anche ascoltarlo, riceverlo. In definitiva, dunque, l’Inferno doveva essere non solo un gran cicaleccio, ma anche e soprattutto prestare orecchio con intenzione. Saggio è colui che si accontenta dello spettacolo del mondo, scriveva un secolo fa Pessoa. Il Paradiso, allora, era considerare i

VERITA' - INTRO

La cosa che trovavo esilarante, era la pretesa che avevamo di pensarci intelligenti, di avere ragione, mentre il mondo che andavamo costruendo era un mondo ansioso, fobico, autodistruttivo. Infelici, ci arrabattavamo appresso a principi senza fondamento trascendente, edificando discorsi fondati sul nulla. E invece di ammirare la moltitudine beati, lottavamo e digrignavamo i denti, mostravamo maschere tiepide e feroci, pretendevamo di dire noi stessi il vero. Quello che trovavo davvero esilarante, era la nostra pretesa di verità.

SKIZO

Avevo parlato per l’ultima volta con mio padre all’età di 12 anni. Camminavamo per il viale della Pineta, a Pescara. Pescara era la sua città, non la mia. Io ero nato e cresciuto in un paese del sud Italia, paese nel quale egli visse una sorta di esilio  determinato dal posto di lavoro. Quella volta in cui parlammo e sembrò l’ultima, e lo fu in effetti per lunghissimi anni, mio padre era tornato a vivere in Abruzzo da poco tempo, e noi con lui. Non nostro malgrado, quanto piuttosto in piena fiducia e nella naturalezza degli eventi. Noi eravamo io, mia madre e mia sorella. Doveva essere autunno, un autunno mite, io e mio padre camminavamo ognuno su una strada diversa. La sua era parto della memoria, egli non vedeva bene cosa c’era di nuovo rispetto agli anni sessanta. La mia era attuale, di una attualità senza magia che atterriva. Fu, quello, un periodo molto positivo della vita di mio padre. Dopo quindici anni di turni in acciaieria in qualità di operaio, aveva ottenuto un posto da res

IO E TEODORO - GRAZIE, CARA

Conobbi Teodoro tanti anni fa, durante una festa a Torino. Me lo presentò Paolo, un amico con la barba bianca. La barba bianca di Paolo nascondeva probabilmente i tratti di un viso inquietante, ma questo non posso dirlo con certezza, poiché non lo vidi mai senza. Teodoro, invece, malgrado la barba che anche lui portava lunga e bianca, aveva tutto l’aspetto di un pazzo. Mi sorprese quindi scoprire come quell’uomo che sembrava uscito da una caverna, avesse un cervello analitico e funzionante e seppure non dotato dell’ironia propria di Paolo, fosse anche egli una persona molto intelligente, con un pensiero coerente, originale. Era, Teodoro, un uomo piuttosto caustico. Molti anni più tardi, credo per caso, Teodoro capitò al villaggio in cui vivevo e si insediò in una delle grotte, come pareva gli fosse confacente. Scoprii subito quanto fosse abile, capace e amante del selvaggio. Aveva poca voglia di socializzare ma si rivelò sorprendentemente pronto a distruggere la tranquillità delle mie

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Secondo mia moglie, il progresso sociale, misurato sulla scala dei diritti cosi’ come lo andavamo costruendo, non era poi molto invitante. Vietare o acconsentire, non edificavano strutture poi tanto differenti. Per esempio, lei, detestava il femminismo, lo considerava una mera idiozia alla quale partecipano, mettendosi in coda, milioni di esseri arrabbiati. Al vaglio dei risultati attuali, diceva mia moglie, l’emancipazione femminile coincideva col diritto acquisito dalle donne di alienarsi al pari degli uomini e di potere abortire in maniera legale. Ossia tutta la lotta delle donne per le donne, si era tradotta nella possibilità che adesso esse avevano di realizzarsi secondo i dettami della società, identicamente a prima nella sostanza, anche se non nel particolare: lavorare per soldi e per il sistema, vestirsi come si voleva (li’ dove la volontà discende su di noi dall’alto etereo della moda), non essere necessariamente madri e poter abortire in ospedale. Per considerare tutto ciò un

IO VEDO - Quasi come Rorschach

Un dispositivo

INDICAZIONI 1

Dicono che col tempo si peggiori ma a me sembra che il giorno dopo sia sempre meglio. Non proprio una guarigione, piuttosto un declino – l’ennesimo. Lo scenario, che sia un caso oppure no, si ripropone, si riproduce, è qui, allo stesso modo un po’ diverso sempre. Non è una guarigione, va bene, ma se non consola, non ghiaccia nemmeno il sangue. Se non capisci, vai lontano, cerca il posto dove sia possibile stare al di là della tela, in contemplazione distante del figlio piccolo con la sua mamma, della prima felicità vissuta a cui segue il declino. Non è così? E allora come mai declino il tempo e piove, allo stesso modo la stessa acqua su un’altra valle scoscesa, che cade sull'orizzonte inumano mentre io qui, ancora in alto, attraverso un vetro spio volando dietro a quel che potrei fare o anche no e che comunque non farò? Io qui, come mai? Il bambino s’affacciava alla prima felicità della sua vita, con sua madre, aspettando il padre. Ricorda luci mosse nella notte, e babbo che

IO VEDO - quasi come Rorschach

una mandria

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Quando capii o decisi che il mio tempo sull'isola stava finendo, sentii nell'attuale un dolore coniugabile al futuro. Ossia: non immaginai quanto mi sarebbe mancata la prateria, o la pietra, o la profondità della valle, né temetti di potere smarrire la presenza partendo; trovai invece già quella presenza in me, proprio li' dove mi brucia mancanza e li' dove mi perdo. Avvenne con serenità. Lo si dice di alcune morti. Andrea, lui, era morto da pochi mesi, per quanto questa frase possa trovare un senso. Me ne diede notizia mia madre, via telefono, e fu durante un pomeriggio immobile, non un alito d'aria a carezzare rami e visi. Ma non è nel ricordo di quel giorno che mi vedo salire alle grotte - l'unico posto da cui si poteva telefonare. Sono io stesso quel percorso di settanta passi tra gli olivastri e la parete di roccia, fluente di giganteschi capperi. Sono una fluente chioma di cappero che mi guarda salire alle grotte, per sempre e da sempre. Ricordo però il m

MIO FIGLIO E' UN VOLO

Sono diventato padre per la prima volta a quarantaquattro anni, e non in seguito a un “incidente”. Mio figlio è stato desiderato. Tuttavia non ho fatto un figlio per poi essere da lui amato, o ricordato, o riscattato, né tanto meno per consacrarlo alla patria, alla religione, alla rivoluzione, o a un qualche altro stupido sogno. Non l’ho fatto per noia, solitudine,speranza, consolazione, confusione, tictac di un orologio. Ho fatto un figlio punto e basta, non c’è un perché. “Io ho fatto un figlio” è un enunciato che si inscrive nel campo dei miei irriducibili non trasferibili. È l’espressione di una parte della mia unicità. È ciò che “sfugge”. Io penso o sospetto che sia per tutti così. O meglio, penso che in tutti i genitori esista, nel momento in cui generano bimbi, una componente motivazionale irriducibile e non trasferibile. Ossia una unicità che sfugge. Quella penso o sospetto che sia “la vita”. Del resto io sono uno a cui capita spesso di essere vivo, ma figli ne possono fare an