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MIO FIGLIO E' UN VOLO

Sono diventato padre per la prima volta a quarantaquattro anni, e non in seguito a un “incidente”. Mio figlio è stato desiderato. Tuttavia non ho fatto un figlio per poi essere da lui amato, o ricordato, o riscattato, né tanto meno per consacrarlo alla patria, alla religione, alla rivoluzione, o a un qualche altro stupido sogno. Non l’ho fatto per noia, solitudine,speranza, consolazione, confusione, tictac di un orologio. Ho fatto un figlio punto e basta, non c’è un perché. “Io ho fatto un figlio” è un enunciato che si inscrive nel campo dei miei irriducibili non trasferibili. È l’espressione di una parte della mia unicità. È ciò che “sfugge”.
Io penso o sospetto che sia per tutti così. O meglio, penso che in tutti i genitori esista, nel momento in cui generano bimbi, una componente motivazionale irriducibile e non trasferibile. Ossia una unicità che sfugge. Quella penso o sospetto che sia “la vita”. Del resto io sono uno a cui capita spesso di essere vivo, ma figli ne possono fare anche i meno assidui.
Due anni fa, forse a causa di una bolla di calore d’origine africana che boccheggiando attraversavamo, mi sentii nitidamente vivo per la prima volta di quella nuova nitidezza che tanto piangere mi fa. Fu come una stella cadente lentissima che squarcia il cielo tutto per quanto è lungo e sembra non voler terminare mai il suo percorso, La volta celeste squarciata era qualcosa che aveva a che fare con il mio petto e il mio cuore. Fu molto doloroso. Capitò all’improvviso. Alzai un dito a mezz'aria e descrissi l’arco disegnato dal dolore. Da allora riconosco la vita in questa nuova dimensione nitida, e anche se a tratti puo’ essere lancinante, è una sensibilità al di fuori della quale non saprei più stare.
Mio figlio sbucò dal buio durante il primo o secondo mese di gestazione. Nella tenebra, era una flebile pulsazione che vibrava, prima tenue e poi sempre più sonora. Lo sentivo mettendo i palmi delle mani sulla pancia di mia moglie. La sua pancia era ancora piatta. Lo sentivo “scorrere”, era come l’acqua che sgorga dalla roccia, un miracolo. Una di quelle cose delle quali se cerchi di spiegare il “perché”, ti ritrovi a illustrarne il “come”. Vedi come sfugge?
Mio figlio è stato desiderato, ma ci siamo ben guardati dal pianificare la gestazione il parto il puerperio o altro.  Prova ne sia il fatto che è nato al principio di un’estate caldissima che più tardi sembrò non voler finire mai, nel posto più caldo d’Italia. Durante gli ultimi due mesi di gravidanza affrontammo bolle di calore che spinsero le temperature fino ai 49 gradi percepiti, per lunghe settimane, e lo facemmo senz’acqua corrente. L’acqua la prendevo io, alla fonte, con taniche da dieci litri l’una. Ne portavo sopra anche 80 litri al giorno.
Vivevamo, io e mia moglie, da tre anni, in un posto di montagna, brullo, a mezza costa, pietroso e ventoso, bollente, un agglomerato di ruderi e ulivi bruciati. Il posto s’era preso la briga di debellare qualsiasi idea di progetto avessimo in corpo arrivando. Ci esorcizzò. sconfisse il demone che era in noi.
Era, quel luogo, il residuo di una civiltà scomparsa di recente, macerie in svariati sensi seppure fumanti. Diventò, per me, un  campo di verificazione. Fu così, immergendomi in quel campo, che cominciai a volare.
Mio figlio è un volo.