Fuori
dall’ordine economico consueto, risultavamo impensabili, e dunque imprendibili.
Eravamo lì, in carne ed ossa, ma non ci vedevano. Quelli guardavano invece tele
tessute dai loro discorsi, immagini rese evidenti da complessi e minuziosi sistemi
di illuminazione. Noi scomparivamo nello sfondo.
Colpimmo,
dall’alto calando, come i jaguncos del Sertao colpivano attraversando deserti
che si davano per non attraversabili. Ci proteggeva il pensiero degli altri, i
loro impossibili.
Per rubare,
rubavamo. Il valore di ciò che prendevamo, però, quelli, non sapevano
calcolarlo. E compravamo, anche. Alle volte. Era uno scudo.
Esseri
invisibili, eppure solidi, planando , sentivamo le correnti che ci spingevano.
L’Uno ci legava ai derubati. Si tendeva ad un pareggio di bilancio, avrebbe
detto il ragioniere. Il libro mastro era invisibile quanto noi. Se ti sforzavi
per renderlo intelligibile, ti ritrovavi immerso nei “come”, lontano dai
“perché”, smarrito. E allora parlavi, facevi discorsi ed eri fottuto. Ti
ritrovavi a giustificare successi irrazionali con teorie vecchie o nuove, tutte
invariabilmente inutili, diverse dall’evento. Potevi ritrovarti a dire che il
carcere non ha potere deterrente perché un criminale non pensa mai, agendo, che
sarà acciuffato. O che sono gli innocenti e i paurosi quelli che finiscono al
gabbio, perché con il pensiero della colpa attirano le guardie. O a immaginare
occhi di vortici energetici, positivi e negativi. Tutta roba da manicomio.
Era solo che
si sente quando voli in armonia e quando no. Dentro, nel profondo, un senso
fine,ti istruiva su tutto, momento per momento. Bastava cadere nel presente,
fare solo ciò che permette il volo. Eravamo elementi, qualcuno avrebbe detto
super eroi. Eravamo magici.
Tu eri già
uno di noi.