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(TU) - INTRO

Fuori dall’ordine economico consueto, risultavamo impensabili, e dunque imprendibili. Eravamo lì, in carne ed ossa, ma non ci vedevano. Quelli guardavano invece tele tessute dai loro discorsi, immagini rese evidenti da complessi e minuziosi sistemi di illuminazione. Noi scomparivamo nello sfondo.
Colpimmo, dall’alto calando, come i jaguncos del Sertao colpivano attraversando deserti che si davano per non attraversabili. Ci proteggeva il pensiero degli altri, i loro impossibili.
Per rubare, rubavamo. Il valore di ciò che prendevamo, però, quelli, non sapevano calcolarlo. E compravamo, anche. Alle volte. Era uno scudo.
Esseri invisibili, eppure solidi, planando , sentivamo le correnti che ci spingevano. L’Uno ci legava ai derubati. Si tendeva ad un pareggio di bilancio, avrebbe detto il ragioniere. Il libro mastro era invisibile quanto noi. Se ti sforzavi per renderlo intelligibile, ti ritrovavi immerso nei “come”, lontano dai “perché”, smarrito. E allora parlavi, facevi discorsi ed eri fottuto. Ti ritrovavi a giustificare successi irrazionali con teorie vecchie o nuove, tutte invariabilmente inutili, diverse dall’evento. Potevi ritrovarti a dire che il carcere non ha potere deterrente perché un criminale non pensa mai, agendo, che sarà acciuffato. O che sono gli innocenti e i paurosi quelli che finiscono al gabbio, perché con il pensiero della colpa attirano le guardie. O a immaginare occhi di vortici energetici, positivi e negativi. Tutta roba da manicomio.
Era solo che si sente quando voli in armonia e quando no. Dentro, nel profondo, un senso fine,ti istruiva su tutto, momento per momento. Bastava cadere nel presente, fare solo ciò che permette il volo. Eravamo elementi, qualcuno avrebbe detto super eroi. Eravamo magici.

Tu eri già uno di noi.