Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da agosto, 2017

INDICAZIONI 1

Dicono che col tempo si peggiori ma a me sembra che il giorno dopo sia sempre meglio. Non proprio una guarigione, piuttosto un declino – l’ennesimo. Lo scenario, che sia un caso oppure no, si ripropone, si riproduce, è qui, allo stesso modo un po’ diverso sempre. Non è una guarigione, va bene, ma se non consola, non ghiaccia nemmeno il sangue. Se non capisci, vai lontano, cerca il posto dove sia possibile stare al di là della tela, in contemplazione distante del figlio piccolo con la sua mamma, della prima felicità vissuta a cui segue il declino. Non è così? E allora come mai declino il tempo e piove, allo stesso modo la stessa acqua su un’altra valle scoscesa, che cade sull'orizzonte inumano mentre io qui, ancora in alto, attraverso un vetro spio volando dietro a quel che potrei fare o anche no e che comunque non farò? Io qui, come mai? Il bambino s’affacciava alla prima felicità della sua vita, con sua madre, aspettando il padre. Ricorda luci mosse nella notte, e babbo che

IO VEDO - quasi come Rorschach

una mandria

2

Quando capii o decisi che il mio tempo sull'isola stava finendo, sentii nell'attuale un dolore coniugabile al futuro. Ossia: non immaginai quanto mi sarebbe mancata la prateria, o la pietra, o la profondità della valle, né temetti di potere smarrire la presenza partendo; trovai invece già quella presenza in me, proprio li' dove mi brucia mancanza e li' dove mi perdo. Avvenne con serenità. Lo si dice di alcune morti. Andrea, lui, era morto da pochi mesi, per quanto questa frase possa trovare un senso. Me ne diede notizia mia madre, via telefono, e fu durante un pomeriggio immobile, non un alito d'aria a carezzare rami e visi. Ma non è nel ricordo di quel giorno che mi vedo salire alle grotte - l'unico posto da cui si poteva telefonare. Sono io stesso quel percorso di settanta passi tra gli olivastri e la parete di roccia, fluente di giganteschi capperi. Sono una fluente chioma di cappero che mi guarda salire alle grotte, per sempre e da sempre. Ricordo però il m

MIO FIGLIO E' UN VOLO

Sono diventato padre per la prima volta a quarantaquattro anni, e non in seguito a un “incidente”. Mio figlio è stato desiderato. Tuttavia non ho fatto un figlio per poi essere da lui amato, o ricordato, o riscattato, né tanto meno per consacrarlo alla patria, alla religione, alla rivoluzione, o a un qualche altro stupido sogno. Non l’ho fatto per noia, solitudine,speranza, consolazione, confusione, tictac di un orologio. Ho fatto un figlio punto e basta, non c’è un perché. “Io ho fatto un figlio” è un enunciato che si inscrive nel campo dei miei irriducibili non trasferibili. È l’espressione di una parte della mia unicità. È ciò che “sfugge”. Io penso o sospetto che sia per tutti così. O meglio, penso che in tutti i genitori esista, nel momento in cui generano bimbi, una componente motivazionale irriducibile e non trasferibile. Ossia una unicità che sfugge. Quella penso o sospetto che sia “la vita”. Del resto io sono uno a cui capita spesso di essere vivo, ma figli ne possono fare an